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martedì 21 febbraio 2017

Diagnosi errata il paziente morì

Frattamaggiore. Ricoverato al pronto soccorso per un forte dolore alla schiena che lo affliggeva da giorni, venne dimesso dopo due ore dopo. Il tempo di una flebo, seguita dalla raccomandazione del medico che lo aveva visitato, a sottoporsi ad un controllo dall'ortopedico. Meno di ventiquattro ore dopo, la sera del 5 maggio 2013, Antonio Del Prete, 48 anni, di Frattamaggiore, operaio asfaltista, sposato e padre due figli, muore nello stesso ospedale, il san Giovanni di Dio di Frattamaggiore per una devastante emorragia interna e la conseguente peritonite, causate da un'ulcera al duodeno che irradiava quell'insopportabile dolore alla schiena.

Una diagnosi sbagliata e l'incapacità del dottor Raffaele Palladino, 63 anni, (il sanitario che prese in cura il povero operaio nel suo primo accesso al pronto soccorso) di indagare oltre quel sintomo, hanno di fatto determinato le cause della morte del paziente appena ventiquattro ore dopo la sua diagnosi. Questo il senso della sentenza di condanna a un anno e quattro mesi (pena sospesa) per il dottor Raffaele Palladino, ritenuto colpevole di omicidio colposo, disposta ieri mattina da Pasqualina Paola Laviano, giudice monocratico della sesta sezione penale del Tribunale di Napoli, al termine di un processo durato circa tre anni.

Insieme al medico è stata condannata l'Asl Napoli 2 Nord quale responsabile civile in solido con l'imputato per la provvisionale e il danno da quantificare in sede civile. Al momento il giudice ha anche stabilito una provvisionale di trentamila euro ciascuno, alla moglie e ai due figli dell'operaio. Assolti dallo stesso reato per non aver commesso il fatto i medici Maria Esposito, Pasquale Capuano, Anna Di Gennaro e Vincenzo Ferronetti, tutti componenti dell'equipe chirurgica del San Giovanni di Dio, che presero in carico il paziente nel secondo accesso al pronto soccorso avvenuto meno di ventiquattro ore dopo il primo. «Una sentenza che se pure non restituisce Antonio Del Prete ai suoi affetti, rende comunque giustizia ai familiari della vittima di questo ennesimo episodio di mala sanità», dichiarano i legali Michele Sanseverino e Isidoro Spiezia.

La vicenda, ricostruita minuziosamente dal perito medico incaricato dal tribunale di eseguire l'autopsia e accertare le cause della morte di Antonio Del Prete, prende il via nel primo pomeriggio del 4 maggio del 2013, quando l'operaio in preda a un fortissimo dolore alla schiena si reca a pronto soccorso. Qui viene visitato dal dottor Raffaele Palladino, che diagnostica una semplice lombalgia (mal di schiena) per poi praticare una flebo con un antidolorifico. Nella scheda di dimissioni, il sanitario scrive: «Si consiglia visita ortopedica».

L'operaio torna a casa, ma una volta svanito l'effetto della flebo, il dolore torna più forte di prima, tanto da fargli perdere i sensi. I familiari, spaventati chiamano un'ambulanza a bordo della quale viene portato di nuovo al San Giovanni di Dio. Tre ore di indagini cliniche e quella lombalgia del giorno prima, diventa choc emorragico e grave stato di peritonite in fase avanzata. Antonio Del Prete, viene portato in sala operatoria per essere operato d'urgenza, ma prima che inizi l'intervento il suo cuore cede di schianto, e nemmeno tre quarti d'ora di tentativi di rianimazione riescono a strapparlo alla morte.

Fonte: http://m.ilmattino.it/napoli/articolo-2272924.html

Ritardi nelle cure anziana muore





Muore al pronto soccorso, i familiari sporgono denuncia. Presunto caso di malasanità all'ospedale Civico di Partinico dove è deceduta una donna di 84 anni, Grazia Cucinella. Dopo l'accaduto le figlie dell'anziana sono andate in caserma per presentare un esposto lamentando alcuni ritardi nel soccorrere la paziente.

Gli investigatori mantengono il massimo riserbo sulla vicenda, così come la direzione dell'ospedale di Partinico. "Possiamo dire soltanto che la donna è arrivata a bordo di un'ambulanza del 118 a seguito di un malore patito nella sua abitazione e, appena arrivata, è stata subito presa in carico dai medici". Sarà la Procura, che ha aperto un fascicolo sulla vicenda, a chiarire se ci siano gli estremi per un processo.

Quasi un mese fa anche il padre di Gaetano Adelfio, deceduto a 42 anni nel pronto soccorso del Policlinico, ha presentato un esposto contro l'ospedale per alcuni presunti ritardi: "Lo potevano salvare. Era già svenuto ma continuavano a chiedergli i documenti". Il sostituto procuratore ha notificato tre avvisi di garanzia ipotizzando per un medico e due infermieri il reato di omicidio colposo

Fonte: http://www.palermotoday.it/cronaca/denuncia-donna-morta-grazia-cucinella-partinico.html

mercoledì 15 febbraio 2017

Malasanità risarcimenti e consulenza



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COME SI PROCEDE SE VI AFFIDATE ALLA NOSTRA CONSULENZA?
1 Raccolta di cartelle cliniche e analisi mediche eseguite

2 Esposizione del caso attraverso una Vs breve relazione.

3 Invio delle cartelle e della relazione al nostro consulente medico per valutazione del caso

4 Riscontrati elementi certi che riconducano ad un caso di Malasanità, i documenti sono inviati ai legali per iniziare il procedimento.

RICORDATE che la valutazione delle cartelle è GRATUITA e, nel caso in cui non ci siano elementi sufficienti per procedere, non dovrete comunque pagare nulla.

Nel caso in cui , invece, si proceda, il pagamento avverrà solo a risarcimento riscosso.

Nocera, corpo estraneo lasciato nella pancia.


NOCERA INFERIORE. Tre interventi chirurgici si sono susseguiti per la giovane madre di Nocera Superiore, Rosa Schiavo. È stato necessario più di un mese di ricovero ospedaliero con la conseguenza di un ventre sfigurato.
Come racconta il quotidiano La città, la donna, insieme al marito Roberto Lamberti, hanno mediaticamente denunciato il caso di malasanità verificatosi  all’ospedale Umberto I. I due, genitori di tre figli, hanno fatto irruzione durante la messa in onda di Quinta Colonna, programma presente su Rete 4, in quel momento collegato da viale San Francesco per raccontare il disastro sanità nella Regione Campania.
Il marito Roberto, ha spiegato così la vicenda: «A dicembre mia moglie ha subito un taglio cesareo, dopo sette giorni aveva la pancia gonfia, febbre a 39 e una peritonite in stato avanzato. Abbiamo seriamente temuto di perderla». La signora Rosa ha così aggiunto: «Dalla cartella clinica, risulta che mi hanno operato l’appendicite. Invece nel mio corpo risultava un corpo estraneo, non celluloso. Hanno dovuto drenare più di un litro e mezzo di pus».
Un incubo cominciato il 5 dicembre e finito il 28 gennaio: «Nel frattempo – ha continuato Lamberti – mia moglie ha subito un terzo intervento per le aderenze all’addome causate dalla seconda operazione».
Il marito Roberto prosegue così: «Nessuno sa nulla e dice nulla, perché i medici si coprono tra di loro». Durante il collegamento in diretta c’erano anche carabinieri e poliziotti, che hanno chiesto notizie in più dopo le dichiarazioni rilasciate dalla coppia a Paolo Del Debbio.
Il caso, a dire il vero non l’unico presentato in diretta nazionale, ha creato un forte dibattito in ospedale. Ermetico sulla vicenda il direttore sanitario Alfonso Giordano, che però si sarebbe già consultato con i medici dei reparti interessati sollecitando chiarimenti. «Queste cose non devono più accadere», ha detto mamma Rosa ai politici in studio. Tra questi Nunzia De Girolamo e Clemente Mastella, entrambi rimasti colpiti dalle vicende ascoltate.
Fra le tante, la vertenza degli addetti alla logistica e sanificazione dell’Asl. Ottocento persone costrette a lavorare per due ditte per racimolare comunque una paga da fame. Mi auguro che una qualche procura colga al volo le dichiarazioni .
Mastella commenta così: «Mi auguro che una qualche procura colga al volo le dichiarazioni, fossi il governatore e il ministro della salute, domani manderei un’ispezione per capire quali sono gli elementi carenti che discriminano la buona volontà dalla cattiva gestione che alimenta questo tipo di condizione».

http://www.occhiodisalerno.it/cronaca/nocera-caso-malasanita-corpo-estraneo-lasciato-nella-pancia/

lunedì 13 febbraio 2017

Morta per un tumore che non sapeva di avere, i medici non l'avevano informata.


Aveva dei calcoli alla colecisti e si era fatta operare dai medici dell'ospedale 'San Giovanni Bosco' di Torino. In realtà, una donna torinese non aveva solo calcoli ma anche un cancro maligno. I medici l'avevano scoperto dopo averla sottoposta a un esame istologico. Il problema è che la signora non è mai stata avvisata della terribile patologia e, dopo sei mesi dall'intervento, è morta. La Procura di Torino ha avviato un'inchiesta ed ora risultano indagati per omicidio colposo sia il medico Paolo Voghera che il direttore della Chirurgia generale e d'urgenza del nosocomio piemontese, Renzo Leli.

Tranquillizzata dai medici dopo la rimozione della cistifellea

Ennesimo caso di malasanità che sarebbe costato la vita a un italiano, anzi a un'italiana. La signora Angela, 60 anni, si era sottoposta a un intervento chirurgico mirato alla rimozione della cistifellea. Tutto sembrava fosse andato bene. Il personale sanitario tranquillizzò la donna, precisando che l'avrebbe contattata qualora fosse emerso qualcosa di anomalo. Angela, dopo la rassicurazione dei medici, tornò a casa. Pensava che il peggio era passato, invece era appena iniziato un incubo. Il personale sanitario del 'San Giovanni Bosco', però, aveva dimenticato di comunicarle il tremendo referto dell'esame istologico; insomma alla donna non era stato detto che aveva un tumore. Dopo sei mesi dall'intervento, la sessantenne ha iniziato ad avvertire nuovamente fitte lancinanti, sottoponendosi a nuovi esami. La diagnosi è stata terribile: la donna aveva metastasi al fegato. Se solo Angela fosse stata informata della neoplasia, molto tempo prima, si sarebbe potuta salvare.

L'opinione del consulente Vaudolino Mussa

La Procura indaga su un presunto caso di negligenza del personale sanitario dell'ospedale 'San Giovanni Bosco' di Torino. I figli della signora Angela hanno sporto denuncia e vogliono che i responsabili paghino. Il difensore del primario, Gian Maria Nicastro, ha precisato che negli ospedali italiani non si avvisano i pazienti dei referti degli istologici, non essendovi raccomandazioni del Ministero della Salute al riguardo. Vaudolino Mussa, consulente dei parenti della donna, ha affermato che se la paziente fosse stata curata avrebbe avuto maggiori probabilità di salvarsi. 
http://it.blastingnews.com/cronaca/2017/02/uccisa-da-un-tumore-che-non-sapeva-di-avere-i-medici-non-gliel-avevano-detto-001467317.html

martedì 7 febbraio 2017

Tubercolosi presa per polmonite


GALLIPOLI - L'incubo di un'intera famiglia del sud Salento comincia cinque anni fa: una tubercolosi non curata in ospedale che ha infettato tutti. Ora è partita l'inchiesta della magistratura, dopo la denuncia depositata in procura nel 2016, ed è stato disposto l'incidente probatorio. In ospedale si sono accorti dopo quattro anni che l'uomo che si era rivolto al nosocomio di Gallipoli era affetto da una tubercolosi, curata come se fosse una polmonite. Tutto comincia il 20 agosto del 2012, quando un padre di famiglia, tormentato dai dolori al torace, si sottopone ad una risonanza magnetica presso lo Studio di Radiologia “Mangione” di Aradeo. La diagnosi parla di lesioni ai polmoni. L'esito allarmante ha convinto il paziente a ricoverarsi con urgenza nell'ospedale Sacro Cuore di Gallipoli.

I dati raccolti in ospedale spiegano che da circa 10-15 giorni il paziente accusa dolore alla base dell’emitorace e che ha assunto antibiotici senza migliorare. Gli esami in ospedale confermano l'allarme: ci sono lesioni evidenti. Il guaio è che la videobroncoscopia viene effettuata con uno strumento pediatrico, ma il paziente ha 45 anni. L'analisi microbiologica rileva "rarissimi macrofagi e granulociti”. L'esito del test  da micobatterio della tubercolosi è positivo, eppure nessuno si preoccupa di metterlo in quarantena o in qualche tipo di isolamento, secondo le regole dettate dal Ministero della Salute.

Altro elemento che lascia a dir poco basiti in questa vicenda è che il paziente viene dimesso con una diagnosi di: “Opacità escavata in apice polmonare destro e opacità polmonari bilaterali”. Le sole indicazioni che allo stesso vengono date in occasione delle dimissioni sono: controllo ematochimico a 7 giorni, poi ad ulteriori 15, poi ad ulteriori 21, poi ad ulteriori 28 con follow-up più completo a due mesi. Gli viene prescritta anche una terapia farmacologica antibiotica, associata a lavaggi nasali. L'uomo crede di aver contratto una brutta polmonite e torna a casa e a lavoro spargendo ovunque la tubercolosi. I primi a pagarne le spese sono i suoi familiari: tutti infettati. Nonostante le medicine ingerite, il paziente non guarisce e continua negli anni a sottoporsi a nuovi esami.

Quattro anni dopo, il 9 maggio del 2016, il paziente decide di approfondire la faccenda con ulteriori esami e visite nell'ospedale di San Cesario: a questo punto scopre che la situazione è gravissima. Si tratta di tubercolosi polmonare bacillifera: il guaio è che l'esatta diagnosi arriva a 4 anni di distanza. È tardi. A Lecce il paziente scopre che si tratta di tubercolosi da contagio: scattano i protocolli di sicurezza e i controlli su tutti i familiari, amici e colleghi di lavoro. La sofferenza riguarda anche moglie e figli costretti a una lunga terapia per distruggere la tbc. Intanto, i polmoni del paziente più grave sono seriamente compromessi.

La famiglia è difesa dall'avvocata Maria Greco, che accusa il personale dell'ospedale di Gallipoli di lesioni colpose gravissime in cooperazione: secondo l'accusa, se i sanitari non avessero lavorato con imperizia, se avessero seguito scrupolosamente i protocolli sanitari nazionali, il paziente non si sarebbe aggravato, non avrebbe sofferto così tanto e la sua famiglia si sarebbe potuta salvare. Adesso il danno  è enorme: la tubercolosi può incubare per anni per poi esplodere all'improvviso. Ora spetterà ai giudici chiarire le responsabilità e risarcire una famiglia completamente devastata fisicamente e psicologicamente.

Fonte:http://www.affaritaliani.it/cronache/malasanita-tubercolosi-presa-per-polmonite-infetta-tutta-la-famiglia-462487.html

Morto trentadue giorni dopo il ricovero




Pompei, morto dopo 32 giorni dal ricovero: "Giustizia per Pietro"

La procura della repubblica di Napoli

Sos dei familiari del maresciallo dei carabinieri in congedo Pietro Apuzzo, deceduto dopo un intervento considerato di routine

06 Febbraio 2017

1' di lettura

"Vogliamo giustizia per Pietro". Sono passati sette mesi dalla morte del maresciallo dei carabinieri in congedo Pietro Apuzzo, ma i familiari ancora non hanno avuto modo di conoscere ufficialmente la causa del decesso ed hanno tenuto una conferenza stampa presso la loro abitazione per far sì che restino accesi i riflettori su quello ritengono possa essere un caso di malasanità.ù

Il sottufficiale originario di Pompei (Napoli), molto noto nella cittadina mariana anche perché ricopriva l'incarico di vicepresidente dell'Associazione Nazionale Carabinieri, era stato ricoverato in un ospedale napoletano per l'asportazione di due polipi di piccole dimensioni al colon. Un intervento considerato di routine. Il decesso sarebbe sopraggiunto a causa di una sospetta infezione contratta in ospedale dopo un calvario di 32 giorni. Sul presunto episodio di malasanità è stata aperta una indagine affidata al pubblico ministero Sergio Amato della Procura di Napoli. L'autopsia è stata effettuata nella immediatezza del fatto da un pool di consulenti tecnici d'ufficio nominati dal pm.

Si attende il deposito delle risultanze dell'esame autoptico non sono state ancora depositate. I periti, ai quali inizialmente era stato assegnato un termine di 90 giorni per il deposito delle loro conclusioni, si sono avvalsi di una ulteriore proroga Il timore dei familiari è che più passano i mesi più sia difficile ricostruire come sono esattamente andate le cose. Di qui la preoccupazione dei familiari del maresciallo Apuzzo, assistiti dal penalista Guido Sciacca del Foro di Torre Annunziata. "Chi lo conosceva - afferma il fratello della vittima, Gennaro, brigadiere dell'Arma in congedo da poche settimane - non sa darsi pace.

Pietro godeva di ottima salute.

Era entrato in ospedale con la consapevolezza di affrontare una breve convalescenza e di tornare a casa al più presto. Così non è stato". Una denuncia per lesioni personali gravi era stata presentata dal figlio dell'uomo, Antonio, anch'egli appartenente alle forze di polizia, presso la stazione Carabinieri del Vomero Arenella. Alla quale hanno fatto seguito delle altre, tutte raccolte nel fascicolo custodito presso la Procura della Repubblica.

Fonte: http://napoli.repubblica.it/cronaca/2017/02/06/news/pompei_morto_dopo_32_giorni_da_ricovero_giustizia_per_pietro_-157684537/

domenica 5 febbraio 2017

Morì per le infezioni contratte dopo l' intervento, la famiglia chiede giustizia.

04 febbraio 2017 19:08


LECCE - La nuova battaglia della famiglia di Franca ha prima di tutto un obiettivo: ottenere verità e giustizia. C'è anche il desiderio di contribuire a cambiare le cose: "Non deve accadere mai più. Lo facciamo solo per lei, del resto è l'ultima cosa che resta da fare", racconta l'avvocato Dario Malinconico incaricato dagli eredi di Franca, 64 anni di Acquarica Del Capo, di curare i loro interessi e aiutarli a fare luce su questo

La paziente nel giugno 2015 era stata sottoposta a un intervento cardiochirurgico presso la clinica Città di Lecce con innesto di arteria mammaria interna di sinistra per la rivascolarizzazione miocardica. Un intervento programmato e riuscito, tanto che il decorso post operatorio non evidenziò problemi di alcun tipo. A pochi giorni di distanza la donna continuava a non migliorare e il 21 giugno 2015, insorgeva nella paziente stato febbrile trattato con Perfalgan e richiesta di indici di flogosi. Persistendo lo stato febbrile, in data il 29, giorno programmato per le dimissioni veniva effettuata emocoltura e, solo a partire da tale giorno, veniva avviata terapia antibiotica con Targosid. L'esame di emocoltura risultava positivo per "Esterichia coli". Nonostante il quadro clinico non evidenziasse un miglioramento delle condizioni, la donna era stata dimessa dal reparto riabilitativo, in data 13 luglio, con segnalata iperpiressia e valori elevati di Ves.

Al termine del breve periodo trascorso a casa, la paziente era stata nuovamente ricoverata in clinica e dopo un po' di tempo accusò un rialzo febbrile importante, tanto che le analisi evidenziarono la presenza di un'altra infezione la "Klebsiella pneumoniae". A causa di queste patologie la 64enne morì il 19 ottobre. Un decesso la cui responsabilità, secondo i familiari, è da attribuirsi alla clinica: la loro accusa è che l'infezione "nosocomiale" che ha condotto Franca alla morte sarebbe stata presa nel corso della degenza post operatoria. Rilevante, sempre per i parenti, sarebbe la circostanza che, nel periodo in cui la paziente era stata ricoverata e sottoposta a intervento chirurgico, la "Città di Lecce Hospital" era interessata da opere di ristrutturazione con presenza all'interno della struttura di un cantiere.

Adesso i familiari intendono chiamare in giudizio la clinica davanti al tribunale competente: la (legittima) richiesta è di accertare la responsabilità dell'accaduto ed in caso di condanna dell'azienda sanitaria, a farle risarcire tutti i danni subiti «nella misura ritenuta di giustizia», senza indicare una somma. Sarà la magistratura a dare tutte le risposte. Le cronache e non solo, osserva Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti", associazione che nelle sue molteplici attività per la tutela dei cittadini, dà anche voce ed assistenza alle vittime della malasanità, ovvero a coloro i quali hanno subito danni ascrivibili ad errori medici, spesso ricercando le verità, da tempo riportano casi di morti sospette di cui i responsabili spesso sono le Infezioni Ospedaliere. Entrare in ospedale per un banale intervento chirurgico e non uscirne vivi a causa di un'infezione contratta in sala operatoria, succede molto più frequentemente di quanto si possa immaginare ed è un fenomeno che va assolutamente frenato e impedito.

Fonte: http://www.lecceprima.it/cronaca/mori-per-le-infezioni-contratte-dopo-l-intervento-la-famiglia-chiede-giustizia.html